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Da Ventotene alla guerra di Ursula, l’opportunità dell’autodeterminazione dei popoli


Per evitare lungaggini che dipendono soprattutto da opinioni personali, cerco di dare un


Manifesto di Ventotene

contributo alle diatribe oggi in corso.

La prima idea di Europa unita venne a Napoleone, naturalmente unita sotto l’impero francese. Poi Hitler immaginò un impero sassone nel quale avesse una primogenitura il Reich millenario

Arriviamo a Ventotene. Il Manifesto lo dobbiamo a una Ursula- per carità, non quella che firma protocolli con aziende farmaceutiche ben protetti da censura, e immagina acquisti di materiale bellico per centinaia di miliardi di euro, al posto di investimenti nel sociale- ma alla moglie di Colorni, uno dei firmatari, la Hirschmann, che lo fece circolare fuori dall’isola dove si era recata a trovare il marito, dove gli imperatori esiliavano le figlie e i dittatori gli oppositori politici.

Nel manifesto spuntano aspetti di federalismo, quelli legati alla resistenza alle dittature, compreso lo stalinismo, ma anche passaggi neo giacobini, un tantino leninisti. Per esempio, quando i firmatari, Rossi, Spinelli e Colorni, affermano :

«La metodologia politica democratica sarà un peso morto, nella crisi rivoluzionaria» oppure, più avanti, il futuro partito rivoluzionario europeo attingerà «la visione e la sicurezza di quel che va fatto» non già da una preventiva consacrazione «da parte dell'ancora inesistente volontà popolare», bensì «nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna».

Neo giacobinismo allo stato puro. Ma, comunque, mille anni lontana, la loro idea costitutiva, da quell’architettura che la figlia di Spinelli (capito, Benigni?-la figlia di Spinelli) e il filosofo e politologo Habermas hanno definito con il nome di “federalismo degli esecutivi”, l’attuale EU. Ma la stessa Spinelli e pure Habermas non riescono a immaginare qualcosa che sia più vicina alla volontà popolare e meno alle architetture massoniche e di lobbies che hanno progettato l’attuale impianto dell’EU.

Nel dopoguerra si fece strada l’ipotesi di una difesa europea comune che abortì quasi subito per le resistenze francesi e che portò Schuman Adenauer e De Gasperi a immaginare il MEC, la comunità europea del carbone e dell’acciaio.

Più che ad Habermas mi sento vicino alle critiche che Wolfgang Streeck, sociologo tedesco, fa al potere di Bruxelles, partendo dal presupposto che l’intero impianto progettuale della UE è la sintesi della rivolta del capitale finanziario e dei mercati contro quell’economia mista, capitale-società civile, che si affermò nell’Europa post bellica. Per economia mista il sociologo intende in sostanza l’intervento strutturale degli Stati democratici nell’economia di mercato tramite forti politiche economiche (anche con le nazionalizzazioni, ma si tratta solo di un aspetto, e non essenziale) dirette ad affrontare gli squilibri sociali, territoriali, settoriali. In Italia la scuola Keynesiana ebbe come uomini di riferimento Caffè, Tarantelli e Vicarelli. Tutti e tre scomparvero negli anni ottanta in modo misterioso e tragico. E nel 92 si imposero prassi e norme che condussero a Maastricht e al trionfo dell’ideologia finanziaria liberista, ben rappresentata in seno alla commissione UE.

Streeck afferma che la disuguaglianza economica tra Stati, macro regioni e individui, rende sempre più asimmetrica la partecipazione democratica, con il processo di svuotamento del sistema democratico dovuto al fatto che gli Stati sono inseriti in una economia e una società sopranazionali, che sono governate da organismi tecnocratici.

A questa deriva “TINA” (there is no alternative) che è in effetti la parola d’ordine, e la decrescente partecipazione popolare alle elezioni o la protesta ribellistica ne sono l’ovvia conseguenza.

L’impossibilità di “svalutazione esterna” ha obbligato gli Stati più deboli ad usare lo strumento neoliberista della “svalutazione interna”, ossia l’aumento della produttività e della competitività grazie alla creazione di mercati del lavoro più flessibili, salari più bassi, orari di lavoro più pesanti, e abbandono dei finanziamenti di progetti pubblici nella sanità, nella scuola, nella difesa del territorio. La voluta immigrazione forzata dei disperati del terzo mondo, spinti alla ricerca di una vita migliore dalle condizioni di guerra e sottosviluppo dovute alla colonizzazione occidentale, e cinese, realizza una condizione di lotta tra disperati, con le ridotte tutele sindacali (con i sindacati sostanzialmente braccio operativo della tecnocrazia finanziaria) e la sempre maggiore concorrenza tra lavoratori subordinati. Streeck afferma che “…lo svuotamento della democrazia perseguito in generale dalla strategia neoliberista si è manifestato in un’evoluzione che ha trasferito a livello sopranazionale i fondamentali poteri di governo dell’economia, ma concentrandoli in organi non democratici o tecnocratici, quali il Consiglio europeo, la Commissione e la Banca centrale europea. In definitiva si persegue qui la strutturazione di un nuovo modello di sistema politico sopranazionale, imperniato sulla tecnocrazia invece che sulla democrazia, che si pone come l’avanguardia di un’evoluzione globale…”

Io penso che, in tempi di quarta rivoluzione industriale con la tecnologia computerizzata e le nuove nanotecnologie e l’interconnessione tra strutture digitali appannaggio solo delle oligarchie dominanti- che siano finanziarie o militari, sicuramente imperiali- e sempre di più nelle loro mani, l’uomo sarà ridotto ad automa obbediente nel transumanesimo o sarà destinato a scomparire come essere senziente e intelligente. Diverrà perfettamente inutile il dibattito tra filosofi e neuroscienziati, volto a cogliere le differenze tra mente, Sé, Io, coscienza e cervello: ciò che rende noi esseri umani creature volitive, capaci di azioni terribili o generose, di scelte che prescindano gli interessi personali e si concentrino sui valori condivisi, in risposta alle emozioni che hanno accompagnato il cammino di ognuno, alla memoria che ci lega alle nostre passate esperienze.

La soluzione alla quale penso? Che potrà salvarci, e adesso soprattutto da una rovinosa guerra, un’unione davvero, ma davvero, di tipo federale, meglio, di tipo federalista, il riconoscimento delle Comunità e dei Territori finora senza Stato che li rappresenti, finora nella condizione di colonie, esterne e interne. Solo le Comunità di popolo nel reciproco riconoscimento e nel reciproco rispetto dell’altrui indipendenza, potranno spazzare via questi orribili venti di guerra, siglare opportunità di collaborazione nella valorizzazione reciproca di tradizioni, prassi e norme, di iniziative favorevoli allo stato sociale e allo sviluppo dei mercati in senso sociale, come già dichiarano, a esempio, gli articoli 41, 42 e 43 della nostra Costituzione, laddove la finanza torni a essere finanza di impresa, le banche riprendano il percorso interrotto nella concessione del credito a persone e aziende e senza vincoli oppressivi, un mondo dove scompaiano le banche d’affari e i fondi speculativi, e le armi vengano utilizzate, e senza alcun rimorso e remora, solo contro la criminalità, contro il potere dei malvagi e, infine, una Società nella quale la disoccupazione sia un lontano ricordo, grazie ai programmi di sostegno alle Comunità più svantaggiate. Se i vecchi Stati nazionali hanno dichiarato di voler rinunciare alla loro sovranità per vendersi alle oligarchie della speculazione finanziaria, perché fanno resistenza al riconoscimento dei territori che, al loro interno, vogliono l’autodeterminazione?

Una sola risposta, perché sarebbe la fine di ogni potere corruttivo e collusivo, di ogni possibilità di esercitare la tirannia travestita da democrazia, parola che riflette, oggi, un inganno semantico.

Chiudo, alle contestazioni di coloro che vorrebbero blocchi politici monolitici smisurati, con le parole di Giacomo Leopardi “…la Patria moderna deve essere abbastanza grande ma non tanto che la Comunione di interessi non vi si possa trovare…come chi ci volesse dare per Patria l’Europa…”

Un sogno? Può darsi, ma che altro ci è rimasto come eredità da lasciare ai nostri figli?

Maurizio Castagna



1 comentário


storiaribellle
26 de mar.

Solo una Europa di Popoli, come San Marino, Andorra o la Svizzera ci mette al riparo dagli imperialismi guerrafondai. La Sicilia ha un avvenire solo se ridiventa il centro di un Mediterraneo senza guerre. Sembrano banalità, ma la classe politica colonizzatrice del mondialismo non le condivide

Roberto Gremmo

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