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Immagine del redattoreMaurizio

Gli appalti degli impianti sportivi pubblici

Non sono certo un giurista. Ma l’appassionante dibattito pubblico che scaturisce dai DPCM prodotti in serie dal presidente del Consiglio, consente una riflessione. Oddio, proprio dibattito non v’è mai stato. Piuttosto decisioni categoriche, senza possibilità di riscontro, senza che vi fosse relazione alcuna tra i detentori della cosa pubblica, tra gli intransigenti decisori e l’Organismo Sociale, il corpus che, della vita nazionale, è il custode delle norme non scritte, dei costumi, delle tradizioni, delle esigenze e delle peculiarità dei Territori, lo spirito di quello Stato che, invece, è considerato come l’Ente di personalità giuridica che si contraddistingue per la sua indipendenza nei confronti di altri Enti territoriali, posti esternamente ai confini nazionali, e per la presenza di un governo effettivo che controlli in modo stabile la popolazione stanziata nel suo territorio

Ora, è vero che qualsiasi decisione emergenziale possa presuntivamente fare a meno delle Norme poste a fondamento di una Comunità, in particolar modo quando sono in gioco i “destini della Patria”, e che ciò sta a significare che possano anche venir meno determinate guarentigie poste a salvaguardia del foedus tra “organismo sociale” e Stato. Ma se ciò avviene quando, pur in presenza di un pericolo evidente, i provvedimenti presi dal governo e non concordati in Parlamento mettono in pericolo la relazione tra cittadini e diritti costituzionalmente garantiti, la musica cambia. A maggior ragione quando è evidente, come cercherò di spiegare successivamente, la disparità di trattamento tra Enti istituzionali e controparte privata, un modus agendi capace di produrre orrori incostituzionali come la secretazione di atti pubblici e la concessione di vantaggi ai pochi a discapito del corpo sociale nella sua interezza

Torniamo all’oggetto di questo articolo con una premessa

Il principio espresso in lingua latina : “pacta sunt servanda” sintetizza il carattere vincolante di un contratto sociale, a maggior ragione se parliamo della Costituzione o di qualsiasi trattato di alleanza che vincoli dominanti e dominati al rispetto delle norme condivise.

La nostra Costituzione, repubblicana e sociale negli intenti- figurarsi che, per garantirne lo spirito, Dossetti voleva inserirvi all’articolo 2 dei principi generali il “diritto alla resistenza” (contro qualsiasi atto proditorio ne contravvenisse le norme)- contiene due articoli fondamentali che mi vengono in soccorso per dimostrare la mia tesi e la buona condotta della gestione privata degli impianti pubblici destinati alla pratica sportiva e motoria, il 41 e il 42 del Titolo III

Cosa affermano?

Il primo è illuminante e regola la relazione tra proprietà privata e diritti dell’Organismo Sociale, recita così:

L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali

Il secondo lo possiamo sintetizzare nella dichiarazione “…la proprietà (l’economia) privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale…”

Quindi la proprietà e l’economia privata sono regolamentate in funzione della prevalenza dell’interesse pubblico, e viene messo in risalto l’elemento sociale della proprietà e dell’economia privata. La proprietà privata è “riconosciuta e garantita dalla legge”, ma l’interesse privato è subordinato all’interesse della collettività, a maggior ragione quando il privato gestisce un bene pubblico

Certo a noi vengono immediatamente in mente esempi assolutamente negativi che, in qualsiasi altro paese, avrebbero condotto qualcuno alla sbarra per alto tradimento e qualcun altro in galera per condotta criminale.

Mi riferisco alla concessione della gestione della rete autostradale al gruppo Atlantia dei Benetton o, risalendo nel tempo, alla cessione delle fonti pubbliche d’acqua alla francese Vivendi che oggi però ha ritenuto fossero più remunerativi gli investimenti nel mondo delle comunicazioni e in altri asset finanziari che non nella distribuzione dell’acqua ai cittadini. Badate bene, due concessioni ai privati di beni pubblici che non si vede perché non avrebbero potuto essere amministrati in proprio dallo Stato, secondo lo spirito della nostra Costituzione, con gli Enti preposti e le professionalità che pur esistono all’interno della macchina burocratica statale. Se non persistesse, nella comunicazione dei media, un mantra che ci accompagna dagli ultimi 30 anni, e non avesse convinto il colto e l’inclita, come il cittadino comune lungo tutta la scala sociale, che tutto ciò che è pubblico è inefficiente e tutto ciò che è privato apporti certamente ricchezza all’intero paese.

Mi sia consentito di ricordare ciò che ha sentenziato in merito all’appalto con ASPI-Atlantia la Corte dei Conti, che dipinge una situazione al limite della legalità per quanto riguarda il rapporto tra Concedente (ANAS) e concessionari (Autostrade per l’Italia): mancanza di trasparenza, spregio verso i principi fondamentali di concorrenza e libero mercato a livello nazionale e europeo, monitoraggio indipendente di fatto inesistente, negligenza del concessionario nel merito della manutenzione e del monitoraggio delle strutture, l’ assegnazione, da parte del concessionario, di dividendi “mostruosi” ai soci, capitali sottratti agli investimenti manutentivi, l’adozione di una legge concordata con i cosiddetti rappresentanti del pubblico interesse (sic!) che aggirasse il meccanismo del “price cap”-sistema di equilibrio economico tra interesse privato e diritti del concedente (i diritti del sistema paese) – e ne istituisse uno parallelo, meno trasparente e nuovamente a tutto danno del popolo italiano. Nessuno, al contrario, e lo affermo per l’assoluta conoscenza dei fatti, nessuno degli appalti tra i vari Enti dello Stato e concessionari privati di Impianto sportivo pubblico ha mai mostrato una crepa a riguardo, né legislativa, né etica. La trasparenza degli atti, gli obblighi normativi ed amministrativi, l’oculata vigilanza dell’Ente sulla gestione, gli obblighi manutentivi sempre rispettati dal concessionario privato, anche a scapito delle risorse di impresa, rimandano a un modus agendi completamente diverso. E ne siamo felici.

Ma non voglio dilungarmi, perché la polemica ci allontanerebbe dalle ragioni che mi hanno spinto a prendere carta e penna. E’ servita solo perché, ancora una volta, in questo paese non basta agire con correttezza, bisogna anche essere amici di quelli giusti. E perché qualunque cittadino che sia appena attento ai diritti del corpo sociale e al rispetto delle norme costituzionali e del codice civile, non possa che essere addolorato per come i gestori della res publica abbiano potuto agire con tanto disprezzo della legge in un settore e abbiano dimostrato tanta oculatezza in un altro.

Torno a scrivere sugli appalti per la concessione di impianti pubblici sportivi. Impianti che con estrema difficoltà potrebbero essere gestiti dalla macchina burocratica dello Stato, proprio perché, nel nostro paese, non è mai esistita una cultura sportiva, nè l’idea che l’educazione motoria possa garantire la salute pubblica e, soprattutto, il benessere delle categorie fragili. Nonostante questa evidente necessità, che obbliga l’Ente pubblico a concedere i propri beni di settore al professionista privato, avete idea di quanto gli amministratori periferici siano attenti, e giustamente, al primario interesse pubblico? Mi si obietterà che gli amministratori periferici, questi impianti infatti sono di proprietà regionale o comunale, sono così disposti a subordinare il diritto dell’impresa privata alla “funzione sociale” per garantire a sè stessi l’appoggio elettorale dei cittadini. E se così fosse? Sarebbe comunque un bene. La gestione di un bando pubblico è vincolata a presupposti e parametri economici che hanno come fine la fruizione il più possibile facilitata del bene pubblico da parte della Comunità territoriale. Anche se in tal modo i costi aumentano esponenzialmente per il gestore o conduttore privato

Qualche esempio delle prescrizioni da bando :

l’adeguamento dei costi di ingresso a favore delle categorie fragili anzi, il più delle volte, la garanzia della totale gratuità per le associazioni benemerite del Terzo Settore; il controllo delle quote sociali, prescindendo dal gioco della libera concorrenza, affinchè non superino le possibilità di spesa del cittadino medio; l’abbattimento di quote sociali e di abbonamento per famiglie numerose; la garanzia, da parte del gestore degli impianti, del loro perfetto efficientamento; la restituzione, alla conclusione temporale dell’appalto, delle strutture edili e tecnologiche secondo piani di intervento migliorativi e completamente a carico della gestione privata; la promozione della professionalità degli operatori tecnici, sportivi e motori, il controllo delle certificazioni abilitanti e la produzione di corsi di formazione ed aggiornamento; le assicurazioni a copertura dei danni accidentali; il sostegno dell’attività sportiva, federale e amatoriale; la congruità dell’igiene alle norme correnti (in periodo Covid, gli impianti sportivi si sono dimostrati gli unici adeguati ai protocolli ministeriali, e lo testimoniano le centinaia di visite dei rappresentanti dei NAS e delle ASL territoriali che ne hanno garantito e certificato con atti pubblici la salubrità, dalle Alpi a Capo Pachino, nonostante una ingannevole comunicazione governativa abbia disorientato gli utenti e abbia contribuito a gettare le basi per i decreti di chiusura: lasciatemi affermare, o erano errati i protocolli, o qualcuno ha mentito e non sono certo stati gli ufficiali dei Nas o i dipendenti delle ASL)

Certi obblighi da bando, così vincolanti, risultano essere un limite al buon andamento di impresa. Ma il gestore non può agire solo nell’interesse aziendale, deve impegnarsi a sostenere il fine ultimo della funzione sociale dell’impianto pubblico. E, infatti, specialmente durante l’attuale crisi pandemica, disastrosa più sul fronte del lavoro che su quello sanitario, molti falliscono o sono sul baratro del disastro economico. Altrove dovevano rivolgersi le attenzioni malevoli dei decisori, dovevano volgere lo sguardo in direzione di altri orticelli protetti, di quei contratti pubblico-privato secretati a sprezzo della Costituzione e dei diritti dei cittadini. Senza concedere, oltre al danno la beffa, generosi risarcimenti al concessionario largamente inadempiente. A prescindere, ovviamente, dall’emergenza COVID

Si dirà, infatti, “ma la pandemia”. Certo, ma almeno che sia rispettato il sacrificio dei tantissimi grandi e piccoli imprenditori del settore. Specialmente dei più piccoli, quelli più esposti con contratti di leasing o con mutui da pagare, con impegni manutentivi da bando da onorare, con le bollette delle utenze o con cartelle esattoriali che si accumulano sulle loro scrivanie, nei loro centri sportivi. Perché si, oltre agli obblighi da rispettare per garantire la fruizione del manufatto pubblico alle categorie più deboli, oltre a dover subordinare l’interesse privato a quello della collettività, i gestori e i conduttori pagano onerosi canoni di concessione e, ovviamente, le utenze, senza poter tagliare quei costi fissi che assommano, nelle bollette, a circa il 35% dei costi totali energetici : provate ad immaginate gli oneri per i conduttori di piscine! Non voglio perorare la causa di tutti, qualcuno che deroga agli impegni ci sarà stato, pagando successivamente con la revisione o la risoluzione dell’appalto, né oso affermare che, senza i vincoli del bando, tutti si comporterebbero così bene, con tanta attenzione verso gli utenti e verso le categorie fragili, per la salvaguardia dell’interesse pubblico. Essere buoni e giusti non è da tutti, e in ogni campo dell’agire umano esistono personaggi senza coscienza (ma mi chiedo se sia lecito che i conduttori della cosa pubblica lancino la prima pietra). Intanto, visto che le leggi esistono perché vengano rispettate, almeno è giusto che io ricordi che i gestori e i conduttori di impresa sportiva, quando dirigono un impianto costruito con soldi pubblici, da vincitori di bando, sono forse gli unici, in questa allegra repubblica delle banane, ad osservare le norme e i vincoli degli appalti pubblici vinti. Quando vengono interdetti al lavoro, privati della possibilità di continuare ad operare in frangenti drammatici come questo, lasciano, ed è la cosa più angosciante, migliaia di operatori senza futuro e per di più privi di ammortizzatori sociali come da contratti CONI, con famiglie costrette a ridurre drasticamente i propri consumi, a smettere definitivamente di sognare un futuro accettabile per i propri figli. E, in ultimo, i concessionari, e con loro tutti i lavoratori di settore, vengono esposti al pubblico ludibrio da cittadini poco consapevoli delle ferree regole degli appalti di concessione di impianto sportivo, cittadini che credono che ogni contratto stipulato secondo il codice degli appalti, che disciplina i rapporti tra amministrazioni pubbliche e operatori economici, debba seguire la falsariga di quello con Atlantia. Additati al pubblico ludibrio, esposti alla gogna mediatica come se fossero i responsabili di una situazione al limite del collasso.

Una beffa, perche’, come diciamo a Napoli, “mazziati e cornuti” proprio no

MAURIZIO CASTAGNA





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1 comentario


gianni.civa
22 dic 2020

Caro Maurizio è stata fatta una scelta politica. A noi fin da piccoli lo sport ha insegnato il rispetto degli altri e delle regole: non protestiamo, non insultiamo, non minacciamo e per questo ci hanno messo da parte.Gestiamo impianti loro (Comunali), ma non sanno minimamente i sacrifici che facciamo per tenerli attivi, non sanno chi sono i nostri clienti e non sanno le competenze che ci sono all'interno.Ci vogliono delle nuove idee, fatti e decisioni,soprattutto da parte di chi ci rappresenta.

Un saluto caloroso da un tuo ex collega, con bellissimi ricordi.

Gianni C.

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