Gli impianti sportivi chiusi, un ex ministro dello sport che continua a far danno, il CONI che
rumoreggia ma in effetti tace, il nuovo governo che pare impiparsene del settore, ristori mai arrivati, elargizioni a pioggia tanto avvilenti quanto inconcludenti
In queste due righe ho riassunto la disperazione dei protagonisti dello sport, riferendomi non gli sportivi, ma a quelli che nello sport lavorano
Un settore da decine di miliardi di fatturato, con milioni di dipendenti in circa 120.000 strutture diverse per tipologia e finalità, capace di procurare un risparmio nella spesa sanitaria di 9 miliardi all’anno
Dimenticato, vilipeso, incompreso.
Ecco, partiamo dall’incomprensione. Incomprensione non dei fini perseguiti dagli operatori sportivi che, sintetizzando, possono essere l’olimpismo da una parte, rappresentato e curato dal CONI e dalle Federazioni Sportive Nazionali; e dalla pratica motoria per tutti, utile sia a diminuire il carico dei farmaci per chi sia affetto da malattie e disabilità, sia a garantire una buona qualità di vita, fisiologica, organica e psicologica agli oltre 20.000.000 di italiani che affollano i centri sportivi. Pratica motoria che trova rappresentanza negli enti di Promozione Sportiva, garantiti dalla nuova Struttura di Servizio chiamata, perciò, “Sport&Salute”
Incomprensione, da parte dei decisori pubblici, non dei fini, che dovrebbero (dovrebbero…) aver ben chiari, ma del contesto, soprattutto normativo, dunque fiscale e tributario, oltre che operativo, nel quale i gestori, i conduttori, i proprietari di impianti sportivi e motori, ma soprattutto i loro collaboratori e dipendenti, agiscono
Per non farla lunga, credo siano esaustivi gli interventi del Ministro Spadafora a “difesa” della categoria, per dimostrare non solo che il settore è stato abbandonato a sé stesso, ma che è stato trafitto, già morente a terra, da un incompetente (per sua stessa ammissione) Maramaldo incompetente
Cominciamo con la famosa elargizione dei 600 euro mensili, passati a 800 mensili e al momento sospesi, che dovevano garantire la platea dei collaboratori sportivi durante i lockdown imposti dai DPCM
Avevamo implorato gli uomini del Ministro, quelli del suo Ufficio Sport, di voler considerare che, per la particolare indicazione delle norme che regolano il settore e in particolare le norme 342/2000 art.37 e 289/2002 art.90 e la puntuale conferma dell’Ispettorato dell’ufficio del Lavoro con circolare n.10 del 1° dicembre 2016, gli operatori sportivi inquadrati come “collaboratori” si potevano dividere in due gruppi, coloro che del “lavoro sportivo” ne fanno seconda o terza attività o attività secondaria allo studio, e coloro che di sport vivono. I primi con lettere di incarico e compensi mai eccedenti i pochi euro fino a cifre mensili di poco superiori, i secondi superando la soglia esente dei 10000 euro annui, vivendo di sport e nello sport, portando avanti nuclei familiari anche numerosi.
Ebbene, la sconsiderata attribuzione pro omnibus del sostegno economico elargito attraverso Sport&Salute, ha portato alla conseguenza che collaboratori con un budget mensile di poche decine di euro si sono visti omaggiati di un cadeau insperato, famiglie intere di collaboratori a tempo pieno sono crollate economicamente. Una differente visione delle cose con la richiesta da parte del Ministero di una collaborazione attiva delle società e dei proprietari di impianti avrebbe portato a concedere una più equa forma di sostentamento gradita a tutti. Ma è proprio questo il punto. L’atteggiamento sufficiente di chi, per la stessa ammissione del Ministro, non avendo consuetudine dei fatti e delle procedure, presume e pretende di avere la certezza di poter cambiare le cose solo perché investito di una funzione pubblica. Siamo davvero, nei palazzi romani, all’apologo del famoso marchese
Lo stesso comportamento ha purtroppo segnato altre “spregiudicate” letture normative
Basti pensare ai decreti “ristoro”, bis, ter, quater e alla legge del 18 dicembre 2020 n.176, che ne riassumeva e confermava i contenuti. Anzi del dettato di quest’ultima che pare abbia stravolto, in punta di comprensione del testo scritto, le indicazioni della 216 soprattutto al riguardo del comma 3 (Decreto Rilancio).
Abbiamo più volte indicato al Ministro e ai suoi collaboratori che dovevano essere valutati i ricavi istituzionali delle società sportive, non il fatturato, eminentemente commerciale, una quota forse nemmeno del 5% degli incassi, solo e soprattutto per le SSD, lasciando fuori dai ristori le ASD. Proprio le leggi che regolano l’attività sportiva, ma più ancora la pratica motoria intesa come stile di vita e presidio di salute, permettono alle ASD/SSD di operare amministrativamente in modo diverso dalle altre società di persone o di capitali. Certo non per arricchire i gestori, i proprietari, i conduttori e i loro dipendenti e collaboratori, ma per permettere che la pratica sportiva sia aperta anche alle fasce più deboli della popolazione, abbattendo i costi e dunque moderando le quote sociali, fino alla gratuità prevista per il disagio sociale e per la disabilità fisica e cognitivo-relazionale. In tal modo anche il mercato ha dovuto, in questi decenni, uniformarsi alle indicazioni di una legislazione che resta sociale nelle forme e nei contenuti
Anche in questo caso, le nostre indicazioni non sono mai state prese in considerazione. Il risultato? Sono state “ristorate” (sic!) solo 15000 strutture sportive su 120.000, tra le quali nessuna ASD ha goduto di un minimo di contributi, e con elargizioni ridicole, che nemmeno hanno coperto i costi delle utenze e delle manutenzioni ordinarie e non hanno in minima parte sussidiato i mancati incassi istituzionali. Considerando che gli abbonamenti già fatti dovranno essere si loro ristorati dai centri sportivi riconoscendo i rispettivi voucher agli utenti, con una previsione di danno a venire incalcolabile, e che le spese, anche ad impianti fermi, soprattutto ad impianti fermi, che devono essere continuamente manutenuti, come ad esempio le piscine, continuano a correre.
L’articolo 1 della legge del 18 dicembre 2020 recita espressamente che i contributi a fondo perduto sono da destinare agli operatori IVA dei settori economici interessati dalle nuove misure restrittive
Ecco, pensiamo ai costi fissi a carico dei gestori, conduttori e proprietari di centri sportivi.
I costi fissi più evidenti sono quelli relativi alle utenze e agli affitti.
Anche in questo caso ci tocca sottolineare con quanta poca attenzione, con quanta evidente presunzione di sapere, sono stati “elaborati” (che parola grossa) i decreti poi convertiti in legge dello Stato a favore (dovrei scrivere “a carico”) delle conduzioni sportive.
L’articolo 8 della legge n.176 del 18 dicembre 2020, che riprende appunto i precedenti decreti bis, ter e quater, recita che, per il credito di imposta relativo agli affitti d’azienda e per i canoni di locazione degli immobili ad uso non abitativo, pare non debbano essere comprese le società ad indirizzo sportivo, quindi normativamente “no-profit” ma soltanto le imprese definite “commerciali”. Infatti, si parla di “imprese” e ci si riferisce alle partite IVA aperte. Ora, una pletora di ASD ha solo il CF per un’attività che è soprattutto “sociale”, da Terzo Settore. Interpretando l’articolo si dovrebbe dedurne che per essere ristorate le ASD sportive, culturali e del volontariato sociale debbano comunque aprire una partita IVA e fare una sia pur minima attività “commerciale”? Anche le SSD sportive (di capitale) verrebbero in tal modo supportate dalla legge sono per la parte relativa all’attività commerciale, alla partita IVA aperta. E, in ogni caso, l’iter burocratico per veder riconosciuti i propri diritti nei confronti del proprietario privato dell’immobile destinato all’attività sportiva e motoria e di quest’ultimo nei confronti dello Stato è talmente farraginoso da esaltare soltanto i burocratosauri della macchina pubblica.
Anche riguardo ai costi relativi alle bollette energetiche (art. 8-ter) noto la stessa incongruenza. Avevamo chiesto la sospensione fino al termine della fase di emergenza dei termini di pagamento e l’abbattimento degli oneri aggiuntivi o generali di sistema nelle bollette delle utenze. Tutti noi, ca va sans dire, abbiamo gli uffici pieni di bollette da onorare, bollette “forfettarie” sulla base dei consumi del…2019!
Ad oggi non solo non siamo stati ristorati, in tutto o in parte, ma nemmeno abbiamo avuto riscontri positivi nelle varie interlocuzioni con parlamentari di governo e di opposizione.
. La confusione è molta, bisogna realmente capire a quali contributi possano accedere le varie ASD e SSD, lasciando da parte quei fondi regionali che, con precisione, individuano come destinatario il mondo dello sport, soprattutto sociale.
Sarebbe utile si provvedesse ad un nuovo decreto-legge ad hoc per le società no-profit, quindi a pieno titolo per le ASD e SSD sportive. Altrimenti ci destineranno sempre le briciole, per l’incuria di chi avrebbe dovuto informarsi bene e meglio del mondo di cui assumeva la titolarità come Ministro.
Ma, come ciliegina sulla torta, pur abbandonando le incombenze ministeriali, Spadafora ha voluto lasciarci in eredità una Riforma dello Sport pasticciata e proditoriamente devastante per il nostro settore. Tra l’altro la riforma contiene alcune misure – ad esempio quella dell’abolizione del vincolo sportivo e quella a favore dei disabili – che in linea oggettiva sono condivisibili (la seconda in toto, la prima con i necessari accorgimenti), un modus agendi tipico dei nostri legislatori, quando vogliono far passare, assieme a provvedimenti accettabili, anche il rospo di norme illogiche.
Il punto più deleterio per il mondo dello sport è quello che riguarda le norme che dovrebbero in futuro regolare i contratti di collaborazione sportiva. Sappiamo che la legislazione di favore, fiscale e tributaria, comporta, a cascata, che i costi per l’utenza siano del tutto calmierati. Anzi, in qualche gestione di impianto pubblico, vengono imposte gratuità per le fasce del disagio sociale e sanitario. Questo è possibile, garantendo i presupposti dell’equilibrio di bilancio, solo perché esiste una tale normativa di favore. Che, si badi bene, va anche a sostegno dei lavoratori dello sport. I quali, almeno fino ai diecimila euro, non hanno alcun obbligo fiscale.
Il Ministro e i suoi Spadafora’s boys hanno invece deciso di inquadrare tutti i collaboratori sportivi come dipendenti, lasciandone fuori solo gli atleti e gli atleti alla fine della carriera agonistica, come se esistesse poi solo l’agonismo, definiti, con termine obsoleto ed incongruo, “amatori”
Attrarre come dipendenti, sulla base delle disposizioni normative, le migliaia di collaboratori sportivi, nelle piccole palestre o nei grandi centri polisportivi, vuol dire chiudere gli impianti o imporre tariffe commerciali agli utenti e, soprattutto, all’utenza meno disponibile alla spesa non di prima necessità, assolutamente insostenibili. Abbiamo calcolato che i costi per gli utenti-soci aumenterebbero mediamente del 60%
Non solo, verrebbero meno tutti i presupposti della qualità dell’insegnamento sportivo e motorio. Per garantire le quote sociali, troverebbe spazio l’insegnamento tecnico meno qualificato. Il lavoratore con alle spalle un altro lavoro. Lo studente che arrotonda. Quelli che si accontentano di qualche migliaio di euro l’anno per garantire sostanza ad uno stipendio non completamente soddisfacente. Quindi persone che verrebbero inquadrate, anche loro, come “amatori”, senza obbligo di contributi previdenziali, evidentemente al di sotto della fatidica quota dei “10.000 euro annui”. Non certo gli operatori che garantiscono qualità e sostanza all’insegnamento tecnico, quelli che di sport vivono essendone protagonisti e come professionisti affermati da una vita spesa nel settore. Gente che, vivendo di sport, deve necessariamente eleggerlo a prima attività con compensi che superano certo i diecimila euro l’anno ad oggi esenti.
Credo di capire cosa abbia spinto il ministro ad operare come un novello Robin Hood. Avrà creduto che le lettere di incarico fossero un vulnus da estirpare per garantire assistenza e previdenza (oltre agli ammortizzatori sociali come li conosciamo) ad una pletora di sfruttati. Gli sfruttati hanno invece ottenuto di dover pagare una quota parte insostenibile dei loro futuri stipendi, incompatibile con una vita decente, per garantirsi qualche forma di ammortizzatore sociale, certamente non per godere di una pensione decente. L’INPS non garantisce affatto, pur a fronte di versamenti cospicui, una pensione che non sia di pura sussistenza, e forse sarebbe stato meglio che, contestualmente, i decisori pubblici avessero immaginato l’istituzione di un fondo di categoria capace, con versamenti assai inferiori, di riuscire ad assicurare un futuro post-lavorativo almeno decente, operando investimenti oculati sul mercato. Ma forse l’INPS ha bisogno di ulteriori contributi per coprire le enormi falle di cui è costellato il suo bilancio.
Avevamo anche proposto di elevare la soglia esente, quindi la possibilità di operare con le lettere di incarico per i collaboratori di settore, fino a 15.000 euro. Non è stata minimamente presa in considerazione nemmeno questa ipotesi minima. Non ci hanno ascoltato, sorridendo “sotto i baffi” quando ci siamo adoperati ad indicare come il settore non sia assolutamente inquadrabile nelle disposizioni in merito al lavoro di impresa come genericamente intese. Ricordo che, ad un nostro avvocato con esperienza pluriennale del settore fu opposto un beffardo “Si, si avvocato, inutile ci ripeta quello che già sappiamo in materia giuslavoristica…” ed ho testimoni di quella video conferenza.
E adesso, alcuni miei amici impegnati nel mondo dello sport e nei sindacati di categoria, chiedono che il fondo del ministero dell’Economia e Finanza (art. 92 della Legge di Bilancio) dedicato allo Sport, di ben -udite, udite-50milioni di euro, sia perlomeno raddoppiato per bloccare gli effetti nefasti (per fortuna futuri) della Riforma dello Sport. No, amici, non ci siamo. Anche il Bonus Wellness (che probabilmente andrebbe ad aggiungersi al fallimento di altri “bonus” immaginati per la ripresa dell’intero paese) è una richiesta che lascerà insoddisfatti
Il solo fatto di dedicare allo Sport 50 milioni di euro è davvero umiliante, per tutte le categorie di lavoratori interessate, ma il fronte contro la Riforma deve essere unito, questo testo deve essere emendato, non deve far danni come i provvedimenti che condurranno migliaia di ASD ad un fallimento annunciato
Non abbiamo più voce, nemmeno un sottosegretario dedicato (ma forse è meglio che godere della presenza di un Ministro poco competente per sua stessa ammissione), quindi non ci resta che l’azione sindacale a difesa di tutti, gestori, proprietari, conduttori, dipendenti, operatori tecnici, collaboratori vari di settore.
Le numerosissime lettere che si accumulano sui tavoli della presidenza del Consiglio e su quelli dei suoi Ministri si impolvereranno mentre le nostre società falliranno e gli impianti chiuderanno.
In un 2021 paradossale, nel quale si svolgeranno le Olimpiadi e termineranno i campionati di calcio, 20 milioni di italiani non potranno praticare alcuna attività motoria, con gli impianti sportivi chiusi, molti dei quali per sempre.
MAURIZIO CASTAGNA
SEGR. SINDACATO SIGIS
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