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L’uniformità di pensiero ovvero Simone e il pre-giudizio o il giudizio a prescindere

Il titolo poteva essere “Come leggere la storia”. Oppure “Della difficoltà di comprendere i processi storici”.

Mani unite
Comunità e autodeterminazione

Infine, come ultima possibilità “Perché la memoria storica non deve essere esclusivo appannaggio delle élites politiche”, oppure, eliminando la negazione e mettendoci un bel punto interrogativo al termine del virgolettato, sancire, una volta per sempre, il diritto-dovere di pensare con la propria testa.

Pare infatti che il manifesto per la soppressione dei partiti politici della Weil (a mio parere la più illustre rappresentante del libero pensiero degli ultimi due secoli) sia più che mai attuale

La versione dei fatti accaduti che hanno determinato i rivolgimenti politici e sociali dai tempi della ghigliottina e passando per i bagni di sangue delle due guerre mondiali, è stata sempre prerogativa privilegiata dei rappresentanti dei partiti che, in regime di democrazia o di assolutismo e tirannide, hanno mortificato, a proprio vantaggio, il libero tentativo di comprenderne il perché e il per come.

La giovane Simone affermava che i partiti politici, costituiti per affermare sé stessi con la costante crescita del consenso, esercitano “una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte”.

Ed ancora, per sintetizzarne il giudizio, che i partiti hanno una propria verità in merito ad ogni fatto sociale che tentano di interpretare e dirimere, ma non la Verità come fine ultimo. Tutto ciò che concerne la lotta politica di un partito ha, come obiettivo, l’acquisizione di una fetta sempre crescente di potere. Purtroppo, gli esseri umani interessati alla “cosa pubblica”, in regime di tirannia o di democrazia, se vogliono apportare del bene alla società, e dare il proprio contributo di pensiero e di sangue, hanno l’obbligo di passare per i partiti, pena la loro esclusione dal dibattito politico. Diventa cioè impossibile intervenire negli affari generali senza aderire ad un partito. Ma, per la Weil, questa “necessità è un male”. “La verità”-affermava la giovanissima francese- “è costituita dai pensieri che sorgono nello spirito di una creatura pensante, totalmente, esclusivamente desiderosa della verità”. Ma la verità “non è la conformità ad un determinato pensiero prestabilito” (come appaiono essere le indicazioni politiche dei partiti di massa o le indicazioni ideologiche dei partiti rivoluzionari).

Aderendo a un partito, “il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito”. Se volessimo collocare la parola ideologia al posto di partito (politico) il pensiero della Weil non muterebbe affatto.

Come si può aderire a tutte le posizioni o le opinioni del proprio partito, senza avere il minimo dubbio? Anche se le posizioni e l’ideologia restassero le stesse al mutare dei tempi e delle convenienze (non accade mai, visto che il partito tende al compromesso o alla violenza per affermare il proprio potere) come può una moltitudine di individui non avere il benché minimo dubbio sulle posizioni della propria compagine politica in merito ad ogni accadimento sociale? Deve purtuttavia mediare e abbandonare la ricerca della Verità, per aderire ai compromessi di partito e di potere.

La Weil, persino ai suoi tempi, ma oggidì è ancora peggio, si lamentava del fatto che agli esseri umani non è chiesto di trovare, tra mille dubbi e riflessioni, la strada della Verità, quale che sia, ma di “prendere posizione pro o contro” cosa che, a parer mio, è l’anticamera del fanatismo più squallido e della partigianeria di pensiero più violenta e stupida.

L’animo libero ammette le ragioni dell’altro, quando gli appaiono valide e contesta le opinioni del proprio gruppo di appartenenza, quando le reputa false. Senza però sostenere l’assunto volteriano, perché vi pare possa essere logico sostenere un’opinione contraria, e il diritto ad essere espressa e non contestata, se la si ritiene sbagliata, solo per dimostrare di “essere di ampie vedute”? Certo, le opinioni contrarie vanno ascoltate, ma anche discusse e confutate, combattute se necessario (con la forza del pensiero e con il proprio sacrificio personale) se le si consideri contrarie all’interesse generale.

Ora, nell’anno di grazia 2020 (di disgrazia, visto ciò che ci accade) restano valide le asserzioni del giovane genio francese?

Ma certamente ancora di più. Perché i partiti, come le convinzioni diffuse, paiono essere allineati nella definizione generale dei fatti e di diverso, le une dalle altre, le compagini politiche, hanno solo il nome.

Vi sembrano individui diversi, dalla diversa visione strategica, Mariano Rajoy e Pedro Sanchez in Spagna? Hanno mostrato i muscoli o no, entrambi, contro i catalani del dissenso democratico? E cosa contraddistingue il Fianna Fail e il Fine Gael in Irlanda? Se non una politica vecchia e poco originale (e infatti hanno perso le elezioni a favore del Sinn Fein). Sono diverse le politiche francesi nei riguardi delle minoranze se a governare sono i gollisti o il centro sinistra? E’ diversa la loro politica coloniale? E in Inghilterra, vi pare vi siano prese di posizione differenti, tra laburisti e conservatori? Come si contraddistingue la loro posizione nei riguardi dell’Ulster? E negli Stati Uniti? Forse diverso è solo il modo propagandistico con il quale le amministrazioni democratiche e repubblicane usano invadere libere nazioni, guerreggiando, e imporre il proprio dominio politico e finanziario da oramai 200 anni a questa parte. E che dire, poi, della loro ottusa politica, comune ad entrambe le formazioni, di “ingiustizia sociale”? E cosa contraddistingue, l’uno dall’altro, se non posizioni di pura adulazione senza costrutto, nei confronti di questo o quel raggruppamento sociale, i partiti “costituzionali” italiani? Governi il centro destra o il centro sinistra, pare non cambi mai nulla.

Soprattutto quando, dai Territori e dalle Comunità, sorgono proposte ardite e di avveniristica concezione. Infatti le risposte dei rappresentanti dei partiti istituzionali si conformano ad un eguale clichè. Le risposte date al libero pensiero, che non differiscono mai, che a ribattere siano gli uni o gli altri.

Avviene quando le mozioni che sorgono dai Territori e dalle Comunità si spingono fino alla richiesta di autodeterminazione amministrativa e sociale, nell’ambito di uno Stato che conceda, di fatto, la cessione di competenza in materie specifiche, senza i lacci e i lacciuoli che oggi vengono imposti da una errata interpretazione costituzionale, in virtù del pasticciaccio della revisione del Titolo V. Un governo locale, libero ed autodeterminato in ambito federale, insomma. Ebbene la risposta è uniforme, pedissequa, una litania scialba: “nessuna piccola patria, in un mondo globalizzato, che va verso la costituzione di un potere politico universale”.

Già, prendendo fischi per fiaschi, confondendo la pretesa degli sciovinisti del ventunesimo secolo, con le istanze di progresso sociale e di amministrazione territoriale, costituzionalmente garantita, degli indipendentisti. Indipendenza non già da uno Stato (ottocentesco) per crearne un altro eguale e contrario, più piccolo e diverso, una copia sbiadita del primo, pessima come il modello, ma da una visione centralizzata del potere politico, usa a conformare le scelte pubbliche ad interessi che mal si addicono a realtà diverse e a visioni di progresso sociale particolari e territorialmente, culturalmente definite.

Anzi, a ben vedere, proprio l’idea di Europa ne uscirebbe rinforzata. L’idea di un Continente nel quale amministratori “locali”, controllati dalla popolazione di un territorio specifico, uomini e donne eletti per la loro capacità di gestione della cosa pubblica, per la personale conoscenza delle istanze particolari che sorgono imperiose dalla valutazione intelligente dei fatti e delle situazioni, di là dai partiti “nazionali”, anzi proprio per non appartenervi e perciò lontano dagli interessi voraci delle Capitali degli Stati ottocenteschi, che indichino la via dell’impegno comune e della vera armonia tra le popolazioni europee.

La cooperazione non sarebbe solo un dato di fatto, ma una necessità imprescindibile tra Territori lontani, sebbene guidati dalle stesse istanze sociali e idee di progresso.

Cosa hanno in comune la Fiandra, la Catalogna e la Lombardia? Cosa la Sardegna, l’Andalusia e la Galizia? Cosa la Corsica, Creta, le isole Ionie e Taso e la Sicilia? Cosa la Renania-Vestfalia e il Veneto? E Anversa, il bacino della Senna e quello del Reno e il porto di Rotterdam con Trieste, Genova, Napoli e Gioia Tauro? Molto di più di quanto crediate. E solo le bieche e oscure politiche centraliste dei vecchi Stati europei, volte a ottenere uno spazio di potere all’interno del sistema finanziario-liberista, sono riuscite ad avvincere in catene le speranze di popoli che insistono su Territori fortemente caratterizzati da usi, costumi e idee di progresso sociale specifici, volti alla realizzazione della piena occupazione, della costante crescita civile e sociale e all’affratellamento reciproco, nella diversità di pensiero ed azione.

E solo gli imbecilli possono pensare che queste istanze siano simili a quelle della Lega nostrana, partito centralista e, come gli altri, assetato di potere. Un po' come coloro che osano affermare che la nostra Simone sia una pasionaria delle dittature (lei che lottò con coraggio contro i vaneggiamenti e le crudeltà di Hitler e di Stalin) solo perché è riuscita a smascherare l’impostura dei partiti politici centralisti dei vecchi Stati europei, del pro o contro a prescindere, senza alcuna manifestazione di pensiero indipendente.

Movimenti fluidi, attendono le generazioni future, non organizzazioni concentrazionarie

Noi andiamo avanti, “noi felicemente pochi”, “questa nostra banda di fratelli”, come declamava Enrico V ad Azincourt, certi che, in un’alba diversa, ci si possa svegliare in un mondo più giusto. Come fosse un nuovo Vespro.

MAURIZIO CASTAGNA

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