Ragazzi, c’è qualcosa che non quadra.
Ogni santo giorno, dai teleimbonitori televisivi, atteggiati a guru del pensiero allineato ed omologato, passa un grido, a destra e a manca, “la salute è salva, però il pan ci manca” (sempre che a qualcuno, tra i decisori della cosa pubblica, possa interessare che qualcuno finisca in bolletta)
E perciò, mi domando, su quali basi si fonda la dialettica corrente tesa a salvaguardare la salute a scapito del lavoro? Magari perché adesso c’è da difendere la buona salute dei quasi settantenni come me, e la paura, tra di noi, anziani o quasi, è tanta?
Paura che un noto parlamentare siciliano, della vecchia guardia dei partiti di governo, ha reso, in immagini e parole, così viva e concreta da poterla quasi toccare, tanto da pretendere, tra rivoli di angoscia e distillati di afflizione, l’immediata somministrazione del vaccino per sé e per i suoi. E viene da pensare che un altro Siciliano, uno che obbediva alla Sua sola coscienza, osò dire che, se uno ha paura di morire, muore ogni giorno e non una volta soltanto.
E perbacco, mica sappiamo più morire, mica ci è stato chiesto di imparare a farlo e a farlo bene, con dignità, in quest’era convulsa di pragmatico materialismo. Mica siamo come quei vecchi di cui vagheggia Hermann Hesse nel suo “Le stagioni della vita” :”…noi, dai capelli bianchi…abbiamo un compito che dà senso alla nostra vita…imparare a morire e morire sono una funzione altrettanto preziosa di ogni altra, a patto che sia compiuta con rispetto per il significato sacro di ogni età…un vecchio capace di odiare soltanto e di temere l’approssimarsi della morte, non è un degno rappresentante della sua età…” Oh, ma noi sappiamo che il vecchio Hermann era un visionario, capace di meta pensieri che nulla hanno a che fare con questo ventunesimo secolo di consumi scellerati, di posizioni privilegiate, di ingordi desideri, anche per noi, senili rappresentanti di un’epoca confusa.
Quindi di cosa cianciano questi giovani, queste giovani famiglie che reclamano lavoro, futuro e speranza? Che il lavoro passi in secondo piano, scellerati! (anche se pare che con questi vaccini che proteggono validamente dall’aggravarsi del male ma, pare, non dal contagio, ciò che si vuol difendere non è la nostra vita, ma il sistema liberista, nascondendo agli occhi delle anime belle lo scempio fatto tagliando la vigilanza terapeutica e i posti letto in ospedale, negando assistenza clinica e chirurgica, chiudendo luoghi di cura, in favore della scelleratezza della speculazione finanziaria e del mercato senza vincoli di rispetto per le Comunità e i Territori, per resistere nell’immondezzaio della corruzione, della tecnocrazia inefficiente dei burocrati, dell’ingessatura mentale che avvolge chi davvero voglia intraprendere e realizzare sogni, costretto all’inazione dai vincoli dei Trattati).
Eppure ci fu un tempo nel quale si narrava che “il lavoro venisse prima della salute”. E ce la ricordiamo, come se ci viene a mente, quella sentenza che, in alcune enclavi, tuguri del tempo e dello spazio, sopravvive ancora oggi, come parola d’ordine, come doveroso passaporto verso l’inferno. E che riguarda i bambini!- “il lavoro viene prima della salute”, a
Gela, a Taranto, nella terra dei fuochi
E le bare che avrebbero dovuto commuovere i teleimbonitori – che pare atteggino il viso alla commendevole commiserazione solo a comando- erano, sono, saranno bianche. Ma non voglio parlare della morte, quella che aleggia oggi in ogni telegiornale, raccontata con raccapriccio attoriale da chi “tiene famiglia”.
Voglio scrivere dei vivi, dei bimbi rimasti vivi, e di quelli che restano ancorati alla vita, devastati dal male crudele e dal dolore.
La martoriata Gela è un crogiolo di raccapriccio, il nonsenso che passa sotto la distratta incomprensione di un mondo insensibile e vigliacco, in 15 anni vi sono nati 450 bambini malformati, quelli che non sono morti. Quelli che non sono stati strappati alle madri da malattie oncologiche devastanti, quelli rimasti in quel limbo di dolore che è la malattia giovane, forse ancora più crudele della morte giovane, più beffarda.
A Gela nasce un bimbo malformato ogni 166 abitanti. Una maledizione voluta dagli uomini, con epicentro della diffusione del male in un’azienda dall’algida assenza di vergogna qual è l’ENI, non più quella gloriosa di Enrico Mattei, quella che è diventata adesso, nelle mani adunche degli attuali Grand Commis di Stato. Lo sforzo dell’azienda nel dimostrare la falsità del rapporto causa effetto tra le malformazioni e i tumori e lo sprigionarsi dei veleni industriali è simile a quello di questo Stato vigliacco quando nega assistenza e pensione alle famiglie dei militari italiani morti per le conseguenze all’esposizione dell’uranio impoverito, usato, con altrettanto sprezzo della lealtà e dell’umana pietà, dai cosiddetti “alleati” statunitensi.
L’ENI ha addirittura vietato le indagini all’interno del proprio stabilimento, protetta da leggi inique.
Però, ha pagato. Già, ma, scorrendo gli atti, ci accorgiamo che quel milione di euro concesso quale risarcimento è finito nella disponibilità di una concessionaria di auto che, ma guarda un po' tu, è stata oggetto di indagine della Dda di Caltanissetta e sequestrata per mafia. Chi si somiglia si piglia, verrebbe da pensare
A tutti gli altri genitori disperati, che si sobbarcano le spese delle cure dei loro bimbi, abbandonati dallo Stato cinico e liberista, non più Stato-Comunità come era nelle intenzioni dei nostri padri costituenti, non è andato finora un solo centesimo. E le cartelle cliniche per avviare un’indagine e le procedure di risarcimento, quelle dell’Ospedale di Gela? E non si trovano, meschine! Sono finite negli archivi negli scantinati e i topi le hanno rosicchiate, ma guarda tu che destino cinico e baro (poi c’è chi parla di patto Stato-Mafia, come se dovesse essere siglata per forza, questa commistione criminale che è soltanto, dal 1860, un dato di fatto)
Un feto a Gela non solo è sottoposto a più di duecento sostanze chimiche respirate ed inalate, ma anche all’insipienza e alla corruzione degli amministratori pubblici, che nulla hanno fatto per arginare lo strapotere dell’ENI, con la giaculatoria del “prima il lavoro, dopo la salute”
E, come Gela, la disperata e martoriata Gela, così Taranto e la Terra dei Fuochi. Nel Salento 600 bambini sono nati malformati negli ultimi quindici anni, nella Terra dei Fuochi tumori, leucemie e malformazioni hanno decimato la popolazione infantile delle zone a ridosso delle discariche tossiche.
Potremmo continuare, con Augusta e Priolo Gargallo, con Milazzo, con Tito in Basilicata, con Crotone e, risalendo la penisola, ci rifiutiamo di tacere la disperazione di Porto Marghera, dei territori del Sulcis e dell’Iglesiente, di Portoscuso e Sarroch in Sardegna, di Porto Torres, di Cengio e Saliceto in Liguria, di Piombino, di Casale Monferrato, di Sesto san Giovanni, di Pioltello, di Falconara Marittima nelle Marche, di Trieste, Territori nei quali si recita “il lavoro viene prima della salute”, e la salute alla quale si allude riguarda principalmente i bambini e le persone giovani.
E quindi io sto vivendo oggi in una sfera celeste situata di là dai mondi finora contemplati, nei quali quell’assunto sia stato rovesciato per mano di un demiurgo, quasi a santificare il taglio dei fondi per la sanità pubblica voluto, nelle Nazioni occidentali, dai decisori di questo mondo globalizzato, orgogliosi e tronfi del progresso e della civiltà raggiunti. Un Sistema che sperpera denaro e ne crea, a fiumi, dell’altro, nascosto nelle bolle finanziarie pronte ad esplodere senza preavviso, travolgendo i beni reali e il lavoro quotidiano. Denaro che serve a ripianare i debiti dovuti alla corruzione degli amministratori e all’incapacità di investire nel lavoro di impresa, pubblico e privato.
E, mentre il virus compie la sua parabola, noi restiamo ancorati al terrore, incapaci di reagire, e adesso che non muoiono più soltanto i bambini, affascinati noi dalle bagattelle che sapienti consiglieri ci costringono a desiderare, andiamo affermando, noi uomini maturi sul percorso che conduce al tramonto della vita, che la “salute è più importante del lavoro”
Sarà, io intanto vado a leggere Hermann Hesse, credo di averne bisogno.
MAURIZIO CASTAGNA
FONTI
Ottimo scritto, complimenti