Nella complessità della vita moderna, può accadere si travisi, o si ingigantisca, l’interesse che le
diverse parti sociali hanno nello sviluppare un modello economico fideistico condiviso puntigliosamente e che abbia, in ultima analisi, l’obiettivo di convogliare i desideri e le speranze delle masse verso una sola direzione. Una meta che permetta agli interessi delle caste dominanti di aumentare a dismisura il proprio potere.
Sgomberiamo il campo da equivoci. Io non intendo in alcun modo difendere la Forza come espressa da Aziende, Organizzazioni internazionali, Potenze militari, da coloro che oggi, a vario titolo, da diverse sponde, sono i “dominanti”, in special modo quando questo potere risulti talmente oppressivo da apparire intollerabile.
Eppure, non c’è logica alcuna nel pensare che, dai presidenti delle potenze mondialiste, ai CEO delle multinazionali farmaceutiche, agli speculatori di borsa, ai capi dei servizi segreti, ai politici compiacenti, fino all’ultimo portaborse del più scalcagnato assessore regionale, ci sia unità di intenti e un patto misterioso redatto nei piani alti della “Spectre”
E’, invece, proprio l’intricata rete di relazioni, sapere tecnico e scientifico, organizzazioni, norme, consuetudini che, alla fine, tende a costituire, inevitabilmente, intrecci di alleanze politiche e militari, programmi di interazione amministrativo-burocratici, scalate azionarie condivise, progetti speculativi trans-nazionali. Non esiste la “telefonata” che impone a Tizio e a Caio di fare da cani da guardia ai poteri acquisiti e strutturati. Almeno non esiste come vagheggiata da un animo semplice, può esistere solo immaginando un atteggiamento mafioso, quindi la valenza criminale della corruzione. Esiste invece il desiderio di compiacere. Di mostrarsi ligio ai comportamenti, alle regole imposte, servile col pre-potente di turno, quello immediatamente sopra la scala gerarchica, l’ansia di saper fare e bene quel che si crede lui (lei) si aspetti, con le parole, i comportamenti, l’atteggiamento, il modo di porsi e di pensare. Esiste anche un complesso, incredibile e smisurato dominio delle cose, delle merci, della moneta, dei saperi, dei media, che in un modo o nell’altro costringe chi vive in questo mondo alla deriva, senza alcuna base etica, disperato e diviso, a vivere ed operare in un certo modo, suo malgrado, per sopravvivere e garantire la sopravvivenza a chi gli (le) si affida. A prescindere dalla sua disposizione d’animo, dalla propria correttezza, dal proprio codice morale, dal proprio valore intrinseco di Persona. E tutti, i primi, quelli volgari, e i secondi, quelli impotenti, conformandosi, paradossalmente, non ai voleri dei despoti e dei personaggi “influenti”, ma all’agire delle masse. Che a quei poteri, inconsapevolmente, si assoggettano.
È come se ogni essere umano fosse agganciato all’altro, in una immaginaria cordata alpinistica, lunga centinaia di migliaia di chilometri e, per non essere costretto a tagliare il cavo che assicura la sua permanenza sul costone di roccia, si abitui a considerare la situazione come ineluttabile. Pertanto, ogni opinione che può avvicinare quella delle maggioranze al Potere può essere discussa, e, alla fine, parzialmente emendata, persino accettata. Ma bisogna che la si presenti con la stessa voce di chi detiene il Potere, nello stesso modo, secondo le stesse procedure, con lo stesso atteggiamento, con la stessa pomposità e vigoria, come ne fosse l’immagine riflessa in uno specchio. Chiodo dopo chiodo infisso alla parete, con gesti simultanei e sempre eguali.
E sia mai qualcuno opponesse le proprie, di ragioni. Ma chi potrebbe farlo? L’anarchico, il deluso, l’oppositore per passione e per puntiglio, il missionario, l’avventuriero? Chi potrebbe aver voce, in questa sorta di Matrix contemporanea, se non a prezzo della propria dignità, che gli verrebbe strappata via dalla canea urlante e adorante, della carriera, dell’allontanamento degli amici, della privazione della famiglia, a prezzo della propria libertà? Di tutto ciò che avesse conquistato in precedenza, fossero le gerarchie lavorative, una vita agiata, l’amore dei propri cari? Quindi ci si conforma, e tutto diventa facile, pesante ma facile. E, anche chi provi disillusione e rabbia, alla fine accetta il normale fluire degli eventi, badando al proprio lavoro, alla propria esistenza, al “particulare”.
Capita che qualcuno si ribelli, che provi ad avanzare pretese “etiche”. Sbagliando i termini, equivocando gli avvenimenti, preso dall’ansia e dalla fretta di spiegare quando la sorte sembra consentirgli di poter urlare le proprie ragioni, di poter “apparire” come un nuovo profeta. Il fatto che venga immediatamente escluso dalla disputa e che la corda che lo assicura al costone di pietra ceda, ne sono dirette, legittime (secondo le norme e le consuetudini degli “aristoi” dell’aeropago mediatico globale) ineluttabili conseguenze. Conseguenze di fatto, non preordinate. Per una serie di connessioni logiche e disarmanti, generate dalla piattezza di contenuti etici e passionali nella narrazione sociale e dalla monotona descrizione degli eventi, proprio come accade quando i fatti vengono interpretati solo dagli ammessi al pubblico dibattito, dagli schermi elettronici, attraverso le piattaforme mediatiche, nei “salotti bene”, come usava dirsi una volta. Eppure, nessun “grande fratello” ha ordinato che la corda fosse tagliata. Si cade nel vuoto perché si è soli e perché non si ha voce, perché un chiodo, quello che doveva assicurarci alla parete, non è stato infisso con la dovuta forza, con la giusta angolazione, nel tempo necessario, come conformismo insegna alle masse aggiogate.
È la tragica conseguenza, il precipitare nel vuoto, di un argomentare “diverso”, non dibattuto, incompreso, millantato come “populista”, banale, “di pancia”. E che tale non è perché è un ragionare, una philo-sophia, discende dalla presa di coscienza di ciò che, in noi, è “luminoso”, che gli agitatori da strada e i fanatici da tastiera non possono conoscere. Ma che, allo stesso modo, non trova corrispondenza nella complessità del gioco delle parti, del fluire delle cose in cui il Potere, con naturalezza, si muove. Che poi è il mostro burocratico che si erge come una cattedrale nel deserto, a fronte di quell’animo umano conquistato dal consumo di cose inutili, dallo spreco di risorse, dall’accumulo sconfinato e paradossalmente inutile di ricchezza, un deserto abitato da milioni di debitori che non potranno mai ripagare ciò che hanno maldestramente e colpevolmente dilapidato. Costruzione mediatica, giuridico amministrativa, militare, economica e “istituzionale” che diventa mostro “alieno” quando invade la dimensione dello Spirito. E, quando ciò avviene, come i terrorizzati progenitori delle pianure mesopotamiche o delle sabbie egizie al cospetto della terribilità degli eventi e delle possessioni dei sacerdoti, gli stessi cosiddetti “populisti” (magari un giorno riusciremo a capire chi sono, quanti sono, perché qualche volta vengono indicati come tali e altre volte in modo diametralmente opposto) mostrando una enorme ingenuità di spirito e una inqualificabile mentalità da oppressi, gridano al complotto. Incapaci di reagire con le armi della ragione e della retorica. Anzi, meno portati alla lotta consapevole, meno ferrati nel dibattito tecnico, scaraventati di qua e di là da passioni inesprimibili ed incongrue, dalla violenza che nasce dall’incomprensione dei fatti, diventano il naturale bersaglio dei compiacenti il Potere, funzionari, scienziati, giornalisti, amministratori pubblici.
Il vecchio assunto di Bacone (l’uomo comanda alla Natura obbedendole) che aveva illuminato la mente dei nostri padri, oggi pare incomprensibile. La moneta non serve più per facilitare lo scambio delle merci, ma diventa oggetto di consumo. E la guerra, come forma di dominio, viene sostituita dalla speculazione finanziaria.
L’oggetto della pietas, quindi il dolore per il sofferente, la sua miseria, la malattia, la schiavitù, vengono presentati alle masse con taglio giornalistico straziante. Ma è una millanteria massmediatica. Distoglie lo sguardo dalle soluzioni, impone il divide et impera tra schiere di fanatici, al di qua e al di là di opinioni che è irrealizzabile condividere, moltiplica le possibilità di non dover (poter) decidere. Serve solo a produrre una profluvie di parole inutili, cascate di sguardi compassionevoli, liti sul web, prese di posizione urlate al di qua e al di là della barricata (delle barricate) senza alcun costrutto. Sfruttate (sfruttate, non imposte) da chi ha interesse a commutare tra loro i fini e i mezzi, per conquistare altre fette di potere. E, badate bene, anche in tal caso, senza che nessuno abbia ordito complotti. Ma proprio perché, ogni abitante di questo pianeta, tende a conformare il proprio comportamento all’agire comune, non nel solco di tradizioni consolidate, dell’epos condiviso spiritualmente da una Comunità, ma nella speranza di una vita migliore, meno problematica, nel costante desiderio di possedere, beni, salute, donne ed uomini compiacenti, per proprio tornaconto e senza soluzione di continuità. E chi comprendesse di star cadendo nella rete, rinunciando alla propria dignità e al proprio valore, si troverebbe nell’impossibilità di passare all’azione, separato da altri “ragionevoli” ed egualmente sgomenti, da una intricata ragnatela di interessi, decisioni autorevoli dell’aeropago, disarmanti sciocchezze di giovani inconsapevoli, cattiverie di consapevoli ed autorevoli senescenti, piagnistei di giornalisti “impiegati” (ricordate “Fortapasc”?).
E la Scienza, ah, la scienza.
La Scienza non è magia o materia da aruspici. Non più. Il mondo della Ricerca avrebbe il dovere di spiegare e spiegarsi, proprio perché, per i tanti, risulta inaccessibile o appena comprensibile. Non è più il tempo delle cosmogonie, della Pizia, degli efori, dei sacerdoti di Amon-Ra e degli iniziati di Mitra. Oggi, la Scienza ha il dovere di presentarsi nuda alle folle. Perché le folle la guardino, senza filtri mediatici. Perché ognuno la capisca a suo modo. Perché, in uno Stato di diritto, ogni decisione politica che discenda da nuove conquiste scientifiche, da nuove scoperte, venga illustrata e discussa. Ciò non avviene, ma non perché ci sia qualcuno che complotti. Dietro enormi scrivanie, in lussuosi uffici. Ma proprio perché c’è tanta di quella confusione che persino tra scienziati le beghe intestine affossano la dignità del ricercatore, persino tra loro c’è confusione di idee e di intenti. Vediamo e leggiamo di confronti feroci, di allusioni maligne. Anche gli scienziati, ebbri di fama, di notorietà, di immortalità mediatica, vanno dietro alla confortevole uniformità di parole d’ordine e astratte che, in fin dei conti, fanno il gioco dei pochi a dispetto e ad aggravio delle moltitudini.
È ridicolo vederli rimbeccare, l’uno contro l’altro armati, contribuendo a degradare la reciproca credibilità. Mentre schiere di ignavi corrono dietro i vessilli dell’uno o dell’altro. Adducendo, i fustigatori del populismo, logiche superiori e diritti di preminenza intellettuale mai veramente acquisiti, e i populisti, le ragioni della furia e del disprezzo.
Aumenta la confusione e lo spirito partigiano. E, quando si genera spirito partigiano, là termina la corsa del libero pensiero. Solo urla e volgarità affrescano la tela di una umanità dolente. E, paradossalmente, mentre a valle crollano le certezze dei fautori dello scontro dialettico, a monte c’è chi ingrassa sulla pelle degli ultimi. Senza aver dovuto mai pianificare un qualsivoglia complotto, ma al contrario, banalmente seducendo gli uomini e le donne di questo pianeta con una incredibile serie di promesse fatue, la ricchezza, il potere, la salute eterna. Come se l’ambizione potesse prevalere sulla solidarietà, la perversione sul rispetto, la ricchezza sulla condivisione, la morte dell’anima sulla vita spirituale.
MAURIZIO CASTAGNA
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